Il torrone artigianale di Aritzo
Antonio, la tradizione del maestro torronaio
Antonio di Aritzo prepara il torrone
usando solo miele sardo, albume d’uovo e frutta secca (mandorle,
noci o nocciole). Riscalda il miele fino a una temperatura specifica,
poi aggiunge l’albume e mescola per circa due ore, fino a ottenere
la giusta consistenza. Una volta pronto, spegne il fuoco, incorpora
le mandorle e serve il torrone su ostie, chiamate “su Morigo.”
Questa tradizione deriva dall’ usanza di offrire un pezzo di torrone
ai visitatori mentre era ancora in preparazione.
La storia del torrone, chiamato
“turrone” o “turroni” in sardo, ha origini avvolte nel
mistero. Nel mondo classico, esistevano dolci simili, come il greco
“mylloi,” fatto con sesamo e miele, preparato durante le
festività dedicate a Demetra e Poseidone nella Magna Grecia. In
epoca romana, Apicio descriveva una ricetta simile al torrone, usando
pinoli, miele, noci e latte. L’etimologia della parola “torrone”
è incerta, ma probabilmente deriva dal latino “torréo,” che
significa “abbrustolire.” Il termine si diffuse in Europa grazie
agli Arabi, come evidenziato nella traduzione di Gherardo da Cremona
(1100-1150) del “De medicinis e cibis simplicibus,” dove si cita
un dolce arabo, “turun.” Nel Medioevo, il torrone si sviluppò
ulteriormente, influenzato dalla cultura arabo-persiana. Durante il
banchetto nuziale del 1441 tra Bianca Maria Visconti e Francesco
Sforza a Cremona, venne preparato un torrone a forma di Torrazzo,
evento che alimentò la tradizione cremonese. Documenti catalani del
XVII secolo confermano la diffusione del torrone in Sardegna, a
Villanova (Cagliari), dove si preparavano varianti bianche e nere.
Nel Dizionario del Casalis dell’Ottocento e in resoconti di
scrittori come Grazia Deledda, si parla dei torroni sardi come
specialità, soprattutto a Tonara. Oggi, il torrone sardo riflette la
tradizione classica, evolutasi grazie all’influenza piemontese e
francese, che introdusse l’uso dell’albume per conferirgli la
forma moderna.